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Johnny è convalescente in un letto grandissimo e molto bello, prende latte a secchi, legge il “Paris Match” e il “New Yorker”, tirando fuori, a momenti, il suo famoso (e rognoso) libretto tascabile di poesie di Dylan Thomas, con note a matita da tutte le parti. Con queste notizie e un cognac preso al caffè dell'angolo, ci siamo sistemati nella sala di audizioni per ascoltare Amorous e Streptomicyne. Art ha chiesto di spegnere le luci e si è coricato per terra per ascoltare meglio. E allora è entrato Johnny e ci ha passato la musica sul viso, è entrato anche se si trovava nel suo albergo, disteso nel letto, e con la sua musica ci ha spazzati via per un quarto d'ora. Io capisco che lo faccia andare su tutte le furie che venga pubblicato Amorous, perché chiunque si accorge delle imperfezioni, del soffio perfettamente percettibile che accompagna la fine di alcune frasi, e soprattutto della selvaggia caduta finale, quella nota sorda e breve che mi è parsa un cuore che si spezza, un coltello piantato nel pane (ed egli parlava proprio del pane, giorni addietro). Ma invece a Johnny dovette sfuggire ciò che per noi è terribilmente bello, l'ansia che cerca sfogo in quell'improvvisazione piena di fughe in tutte le direzioni, di interrogazione, di tentativi disperati. Johnny non può capire (perché quello che per lui è un fallimento sembra a noi una strada, o almeno il segnale di una strada). L'artista che è in lui diventerà frenetico di rabbia tutte le volte che ascolterà quella contraffazione del suo desiderio, di tutto quello che volle esprimere mentre lottava, vacillando, sputando saliva dalla bocca insieme alla musica, più che mai solo al cospetto di quello che persegue, di quello che gli sfugge quanto più lo persegue. E’ curioso. (…) Nessuno può sapere che cos'è che Johnny persegue, ma è così, si trova lì in Amorous, nella marijuana, nei suoi insensati discorsi su tante cose, nelle ricadute, nel libretto di Dylan Thomas, in tutto quel povero diavolo che è Johnny, che lo ingrandisce e lo converte in un assurdo vivente, in un cacciatore senza braccia e senza gambe, in una lepre che corre dietro ad una tigre che dorme. E mi vedo costretto a precisare che in fondo Amorous mi ha fatto venire voglia di vomitare, come se ciò potesse liberarmi da lui, da tutto quello che in esso corre contro di me e contro tutti, quell'informe massa nera senza mani e senza piedi, quello scimpanzè ammattito che mi strofina le dita sulla faccia e mi sorride con tenerezzaJulio Cortàzar, Il persecutore -- source link
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